14 Dicembre 2002 - Teatro Dante-Ponte a PoppiLe Stagioni della vita "Io Prof nell'aula in tempesta" Parliamo di scuola come elemento di crescita con insegnanti, genitori, studenti - Testimonianza di Marco Lodoli (scrittore, giornalista, insegnante). Sono intervenuti: Giovanni Abignente (psicologo) / Massimo Orlandi (giornalista) / Alessandra Aricò (regista teatrale) / I Teatranti del Liceo e Itc di Poppi (coordinatrice prof. M. Antonietta Falco) / Annamaria Ioro (cantante). Durante l'incontrò Olivier Moroni (designer) e Sandra Baracchi hanno presentato il sito ufficiale della Fondazione

 

   
  da sinistra: G. Abignente, M. Orlandi, M. Lodoli  
Un sabato pomeriggio pre-natalizio, tutti affannati a fare compere, a riempire quel già tanto pieno che caratterizza la vita degli uomini del terzo millennio, non tutti però: qualche centinaio di persone, rappresentative del variegato panorama generazionale, ha preferito rinunciare allo shopping, ad un giorno frenetico come tanti altri, per parlare con calma, per discutere di argomenti che, in una veste o nell'altra, toccano ciascuno di noi. Perché quando si parla di "scuola come elemento di crescita" , di confronto generazionale, di giovani, si parla di futuro, e ci si sente tutti coinvolti: genitori, insegnanti, studenti, figli. Stimolati, ma anche provocati dalla testimonianza del prof. Marco Lodoli, scrittore romano ed insegnante in una scuola di borgata, i presenti all'incontro del 14 dicembre al cinema Dante di Poppi, organizzato dalla Fondazione, hanno saputo confrontarsi in modo costruttivo. Sì, lo scontro c'è stato, accuse reciproche del tipo: " è in corso un genocidio delle intelligenze, non siete più in grado di ragionare, faticate a leggere, e la replica : "noi giovani siamo così perché voi ci avete educato così", oppure "non sappiamo ragionare perché non ci chiamate a ragionare", o anche "non è vero che siamo tutti così, c'è anche una buona parte di noi che sa ragionare, che legge, che non fuma", e poi "voi insegnanti dovete stimolare il nostro interesse, dovete amare la vostra materia per farcela amare"… Ma, come ha detto Lodoli, dobbiamo superare la sterile polemica tra giovani ed adulti, la contrapposizione generazionale; lo scambio di accuse è improduttivo, il nemico è altrove, dobbiamo essere uniti per combatterlo. Ma quale è il nemico ? La cultura massificante, un'ecosistema culturale inquinato, il bombardamento di stimoli, il tutto pieno, la mancanza di spazi vuoti, di silenzio, il tutto e subito, la velocità del nostro vivere, lo scorrere frenetico del tempo, tutte cose che hanno prodotto delle esistenze menomate, delle adolescenze smarrite, provocando ferite più profonde in chi, come i giovani, è più fragile e non ha conosciuto un prima e un poi. La scuola, questo "grande circo invalido", come lo definisce Lodoli, dove ogni giorno si confrontano generazioni e vissuti diversi, ha sottolineato lo psicologo Giovanni Abignente, non va vista soltanto come travaso del sapere, ma come un sistema di relazioni fra insegnanti e allievi, ma anche tra allievi e tra insegnanti, un sistema dunque complesso dove si concentrano le aspettative delle famiglie e della società. L'insegnante pertanto non dà solo cultura ma anche presenza e non può prescindere dal vissuto dei propri allievi, in pratica deve essere un po' psicologo, un po' genitore, un po' adolescente. La cultura deve dare spazio alle emozioni, sono necessari "testa e cuore"; il pensiero per funzionare ha bisogno di essere connesso alle emozioni e purtroppo i giovani di oggi hanno difficoltà ad entrare in contatto con la propria sfera emotiva; lo zapping televisivo si concretizza spesso nel vissuto, con passaggi veloci dalla parola all'azione senza passare attraverso il pensiero, il risultato spesso è un'azione autodistruttiva senza l'elaborazione di una propria individualità.
     
prof. P. Caleri
 
prof. E. Tamburini
 
prof. M. Tanga
 
prof. G. Fantechi
 

La parola agli insegnanti

 

prof. M.A. Falco
 
regista A. Aricò
   
Per dirla con Tolstoj, come ha sottolineato la prof. M. Antonietta Falco, l'insegnante deve amare la propria materia e deve trovare, come ha detto il prof. Mario Tanga, il modo migliore per comunicarla, questo per evitare, come ha detto il prof. Giuliano Fantechi, che i ragazzi dicano "non è che non capiamo niente, è che non ce ne frega niente", con il risultato di insegnanti frustrati e alunni insoddisfatti. Ma ci sono anche dei ragazzi che si impegnano, lo hanno dimostrato meravigliosamente i teatranti del Liceo e Itc di Poppi che, grazie ai laboratori teatrali che si svolgono all'interno delle loro scuole con il supporto della coordinatrice prof. Falco e della sapiente regia di Alessandra Aricò, hanno dato voce e corpo ad una serie di macchiette scolastiche inscenando quella "corte dei miracoli" che è la scuola, per poi concludere con una loro lezione che non poteva essere altro che di informatica, visto che in questo campo gli adolescenti superano di gran lunga gli adulti.
     
La Parola agli studenti
   

Gli attori in erba hanno comunque dimostrato che quando i giovani trovano qualcosa di loro interesse, che permette loro di esprimersi in maniera forte , quando viene data loro fiducia, sanno tirare fuori tutte le proprie capacità e potenzialità. Forse il mondo dell'informazione, ha precisato il giornalista Massimo Orlandi che ha condotto il pomeriggio, ha dei grandi vuoti se non debiti nei loro confronti, infatti troppo spesso se ne evidenziano gli aspetti negativi e deviati lasciando nel cassetto il positivo e il bello dei giovani di oggi. Ed è infatti alle nuove generazioni che la Fondazione ha dedicato il proprio sito internet: uno spazio culturale ma anche una piazza virtuale dove incontrarsi e discutere in modo costruttivo e creativo per dare continuità alle iniziative della Fondazione, in attesa di incontri reali, come quelli del ciclo "Le stagioni della vita",dove ognuno possa mostrare il proprio volto senza aver paura di essere giudicato, perché non esistono vecchi barbosi e giovani barbari, ma individualità che interagiscono sperando in un mondo migliore.

 
 
  Annamaria Ioro  
 
     
 
 
 
 
 
 
 

Enrica Grifagni

Emilia Coccimiglio

Nicoletta Benucci

Lucio Veltroni

Iacopo Ceccherini

Luca Innocenti

Veronica Fabbri

Luca Ciabini

Giovanni Amorosi

Alessia Raggioli

 

 
 

Valentina Vezzosi

Lucia Giovannini

Elisabetta Colozzi

Maurizio Brilli

Leila Shamlou

Lian Chatterton-Mates

Sara Ulivelli

Rossella Cirillo

Lucia Nassini

Giulia Bartolini

 

 

 

 

Kety Martinelli

Sonia Boschi

Caterina Cuccaro

Elisa Cipriani

Sara Ghinassi

Irene Lazzeri

Elisa Maggi

Costanza Galastri

Ilenia Bartolini

Jessica Cenni

 

 

 

"Io prof nell'aula in tempesta"di Marco Lodoli (La Repubblica, 23 gennaio 2001)

Dal 1981 passo tutte le mie mattine tra la cattedra e i banchi, cercando di insegnare qualcosa di italiano e di storia, e intanto discutendo con gli alunni intorno a tutti i temi importanti dell'esistenza. Devo dire che per me lavoro più emozionante non esiste. Ho collaborato a programmi radiofonici, a case editrici, a riviste e giornali, ho scritto romanzi e articoli, testi teatrali e sceneggiature, ma nulla mi ha dato le stesse emozioni, nulla mi è parso mai così decisivo come le ore che continuo a trascorrere insieme a quegli adolescenti, in classi mal riscaldate, tra pareti spesso imbrattate da frasi d'amore e d'odio. E' come stare in mezzo al mare su una barca che scricchiola: e a volte c'è una bonaccia preoccupante, a volte onde fragorose, non si può mai sapere in anticipo cosa accadrà, ma è comunque un viaggio di cui il comandante è responsabile. Questo compito produce nei professori un'ansia notevole, che può tradursi in un terribile senso di frustrazione. Oggi più che mai ci sono programmi da rispettare al millimetro, imprescindibili obiettivi didattici e formativi. C'è una scienza dell'insegnamento sempre più rigida, e bisogna rendere conto dei metodi e dei risultati sui registri e su mille altre carte. L'insegnante è chiamato a imbrigliare la forza anarchica della giovinezza, a darle una forma misurabile, prevista in ogni particolare dal ministero. E invece davanti a sè ha studenti che si distraggono, che hanno voglia di muoversi, che perdono sangue dal naso, che a volte hanno un fratello spacciatore in galera e una madre col cancro in ospedale, sembrano morire nel vuoto, e allora si scrive qualcosa sulla lavagna, per salvare una frase, un mezzo concetto: poi si guardano quei caratteri bianchi, quelle frasi di gesso appuntate nel nulla, e somigliano a degli S.O.S, a messaggi lanciati in mezzo a un naufragio. Può venire lo scoramento, lo capisco, accade anche a me. Una lezione preparata con cura sembra sbriciolarsi contro l'indifferenza totale; i versi sublimi di un genio possono venire interrotti dalla voce seccata di un ragazzo che domanda: "Ma a me cosa me ne frega di Angelica o di un passero solitario, che me ne viene? A che mi servono queste lagne? Cosa c'entrano col mondo di oggi, professore?". E allora si ricomincia da capo a discutere della forza del denaro e della televisione, e il tempo scorre nel caos e pare che non ci sia più niente da fare contro quelle potenze invincibili, che la nostra barchetta sarà spazzata via da incrociatori spaventosi sui quali gli studenti sembrano pronti ad imbarcarsi, hanno già addosso le divise Nike e Adidas. Sembra, pare, ma non è così, non è per niente così. La verità è che i ragazzi sono naturalmente dei provocatori, lo sono sempre stati, anch'io lo ero. Non vogliono restare buoni e fermi come otri da riempire, hanno bisogno di accendere nella loro coscienza uno scontro tra le forze in campo: da un lato i messaggi violenti di una società tutta improntata ai miti della felicità e del successo, della fretta e del cinismo; dall'altro il senso innato della giustizia, della bellezza, della ricerca. Stanno indecisi al centro della tempesta, sono nervosi, inquieti, infastiditi dalla loro stessa incertezza. Usare le punizioni e i sette in condotta come metodo di pacificazione non ha alcun senso. Il professore è chiamato duramente a dimostrare che le cose di cui parla non sono chiacchere astratte, ma motivi che hanno innanzitutto formato la sua vita, e ancora la formano. Può sembrare paradossale, ma l'insegnante insegna soprattutto ciò che lui è, momento dopo momento. Se lui crede a ciò che dice, se lo dimostra nel suo comportamento, allora ci crederanno anche i suoi alunni. Loro hanno davanti agli occhi un mondo modellato da adulti che giocano in borsa, che non leggono una riga, s'ubriacano di televisione e Valium e però ipocritamente pretendono che i loro figli siano colti e sensibili. La mia impressione è che quel mondo ai ragazzi non piaccia affatto, lo subiscono, lo ripetono, ma ancora non lo amano. L'altra faccia della luna sono quegli insegnanti che passano la mattina con loro, uomini e donne vestiti maluccio, con pochi soldi, la macchina vecchia, che parlano di un'altra vita, di altri valori. Quegli uomini e quelle donne non devono scoraggiarsi, perchè le loro parole, se pronunciate con convinzione, se sono davvero le parole sincere della propria vita, comunque arrivano, sono semi che segretamente attecchiscono. Ho visto studenti ridere in faccia agli insegnanti, ma li ho visti anche piangere come vitelli ai funerali di un vecchio professore che fino alla fine veniva a scuola in autobus.

"Il silenzio dei miei studenti che non sanno più ragionare" di Marco Lodoli (La Repubblica, 4 ottobre 2002)

L'ottimismo, anche se temperato dal dubbio e dal buon senso, è un dovere di ogni insegnante, che deve comunicare ai suoi alunni sempre e comunque un po' di fiducia nella vita. Dunque anche io cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno, di incoraggiare ogni volontà di miglioramento e di rimarcare gli aspetti più belli dell'esistenza. Eppure da un po' di tempo un pensiero atroce si è installato nella mia mente, mi tormenta, mi perseguita, e ormai sono arrivato al punto di doverlo assolutamente comunicare a chi per età, lavoro, interessi, è lontano dal mondo dei ragazzi. La cosa è questa: a me sembra che sia in corso un genocidio di cui pochi si stanno rendendo conto. A essere massacrate sono le intelligenze degli adolescenti, il bene più prezioso di ogni società che vuole distendersi verso il futuro. Non dovete prendere questa mia affermazione in modo metaforico, e non dovete neanche pensare a una delle solite tirate contro i giovani che non hanno voglia di fare niente, che disprezzano i valori alti e la cultura. Non si tratta di denunciare un certo naturale menefreghismo e nemmeno l'inclinazione ossessiva al consumo che dimostrano i gruppi giovanili. La mia non è la sparata moralistica di chi rimpiange i bei tempi in cui i ragazzi leggevano tanti libri e facevano tanta politica. Io sto notando qualcosa di molto più grave, e cioè che gli adolescenti non capiscono più niente. I processi intellettivi più semplici, un'elementare operazione matematica, la comprensione di una favoletta, ma anche il semplice resoconto di un pomeriggio passato con gli amici o della trama di un film, sono diventati compiti sovrumani di fronte ai quali gli adolescenti rimangono a bocca aperta, in silenzio. Le qualità sentimentali sono rimaste intatte, i miei alunni amano, odiano, fanno amicizia, si emozionano, si indignano, arrossiscono, ridono, piangono, tutto come sempre, ma le capacità logiche, mentali, paiono irreparabilmente compromesse. In ogni classe ormai ci sono almeno due o tre studenti che hanno bisogno dell'insegnante di sostegno: voi penserete che si tratti di ragazzi affetti da qualche handicap fisico o da qualche grave disturbo mentale, ma spesso non è così. All'inizio è persino difficile distinguerli dagli altri, perchè nella classe paiono tutti ugualmente storditi, come se i cervelli avessero subito qualche lieve ammaccatura. Questi quindicenni sono sani e pressochè normali, e a me sembrano solamente l'avanguardia di un mondo diretto verso le tenebre. Semplicemente non capiscono niente, non riescono a connettere i dati più elementari, a stabilire dei nessi anche minimi tra i fatti che accadono davanti a loro, che accadono a loro stessi. Ripeto: sono appena più inebetiti degli altri, come se li precedessero di qualche metro appena nel cammino verso il nulla. Loro vengono considerati ragazzi in difficoltà, ma i compagni di banco, quelli della fila davanti o dietro, stanno quasi nelle stesse condizioni. Gli insegnanti si fanno in quattro, cercano di rendere le lezioni più chiare, più dirette, si disperano e si avviliscono, ma non c'è niente da fare, le parole si perdono nel vento, sono semi che rimbalzano su una terra asciuttissima che non fiorisce mai. La cosa più triste è che questo deficit progressivo dell'intelligenza si nota soprattutto nei ragazzi delle classi sociali più povere. I giovani borghesi hanno in casa libri, dischi e computer, hanno genitori ambiziosi e fratelli in carriera, hanno cento stimoli in più per andare avanti decifrando in qualche modo la realtà. I giovani delle borgate sono avvolti da un'ottusità che fa male. Veramente non capiscono nemmeno chi sono e cosa stanno facendo, spesso non sanno più incollare una parola all'altra, un pensierino a un altro pensierino. Sono perduti in una demenza progressiva e spaventosa. Crescono rintronati dalla televisione, dalla pubblicità e da miti bugiardi, da una promessa di felicità a buon mercato, da mille sirene che cantano a squarciagola, e accanto a loro non c'è altro che riesca a farsi spazio. E così, poco alla volta, perdono ogni facoltà intellettiva, fino a diventare totalmente ottusi. Sia chiaro: il problema è che non riescono a ragionare su nessun argomento, perchè qualcosa nella testa si è sfasciato. Vi prego di credermi, non sono un apocalittico, non grido al lupo al lupo solo per creare apprensione. Sono semplicemente un testimone quotidiano di una tragedia immensa. Il nostro mondo è in pericolo non solo per l'inquinamento, la violenza, l'ingiustizia, il prosciugamento delle risorse prime. La nostra civiltà rischia grosso soprattutto perchè la confusione sta producendo esseri disadattati, creature che non saranno in grado di cavarsela, milioni di giovani infelici che strada facendo, la strada che noi adulti abbiamo disegnato, hanno perduto il pensiero. Dopo essersi spente nelle campagne, le lucciole ora si stanno spegnendo anche nelle teste.

 

 
Audio tratto da: intervento di M. Lodolii__(attendere qualche minuto per l'ascolto)